Inversione dell’onere della prova a carico di AIFA

Prof. Mauro M. De Rosa e Dott.ssa Anna Garaventa

 

 

Nei procedimenti di sua iniziativa, AIFA non è esonerata da un’istruttoria adeguata e documentata.

A chi spetta dimostrare l’equivalenza terapeutica? L’onere probatorio è a carico delle Aziende farmaceutiche o di AIFA?
Contemporaneamente alle sentenze che hanno definito il caso Gilead ed Abbvie vs AIFA sui medicinali Maviret ed Epclusa dove i Giudici hanno dichiarato che tale onere spetta alle aziende, lo stesso Collegio in un nuovo e diverso caso di procedimento per la dichiarazione di dis-equivalenza terapeutica afferma che questa volta spetta ad AIFA dimostrare l’equivalenza. Ma si tratta realmente di un contrasto giurisprudenziale?

 

Premessa

Hanno fatto scalpore le recenti pronunce del TAR Lazio (nn. 9198/2020 e 9203) su una tematica da sempre controversa, ossia a chi spetti l’onere della prova di dis-equivalenza terapeutica tra prodotti diversi, che contrastano le posizioni industriali da sempre espresse in proposito: in sostanza le aziende che pretendono la non equivalenza tra prodotti lo devono dimostrare con appositi studi come avviene in altri settori non farmaceutici come energia e infrastrutture dove le aziende dispongono di elevate risorse e possono produrre idonea documentazione. Ma non è detto che questo assunto sia sempre vero. Se è AIFA che vuole dimostrare l’equivalenza, non si può sottrarre dall’onere della prova e deve produrre studi a supporto.

 

Il caso

Nel caso in esame il TAR Lazio, con le sentenze TAR Lazio 9183/2020, 9192/2020, 9193/20209194/2020, ha accolto i ricorsi proposti da alcune Aziende farmaceutiche (Società Prodotti Antibiotici, Alfasigma, Ibsa Farmaceutici, EG) avverso la determinazione AIFA di revisione delle Liste di Trasparenza, nella parte in cui sono stati accorpati nello stesso raggruppamento i farmaci a base di omega 3 nelle formulazioni rispettivamente autorizzate all’84% di EPA + DHA e non inferiore all’85% di EPA + DHA.

 

Il contesto

Sino all’adozione degli atti impugnati erano presenti in Lista di Trasparenza due categorie di equivalenza dei farmaci a base di esteri etilici di acidi grassi polinsaturi: una per i medicinali con concentrazione di esteri etilici EPA e DHA pari all’84%, l’altra per i prodotti con una concentrazione di esteri etilici EPA e DHA non inferiore all’85%.

Tuttavia, la CTS dell’AIFA ha ritenuto che non fosse possibile l’esistenza di una differenza in termini di effetti terapeutici a seguito della differente concentrazione (84% vs 85% di EPA+DHA) tra le due formulazioni e che, pertanto, le due formulazioni dovessero essere ritenute terapeuticamente equivalenti, trattandosi dello stesso principio attivo.

 

Le pronunce del TAR

Il Collegio individua quale normativa di riferimento l’art. 7, comma 1 D.L. 347/2001 relativo al prezzo di rimborso dei farmaci di uguale composizione e l’art. 10 comma 5, lett. b) D.Lgs. 219/2006 che qualifica medicinale generico “un medicinale che ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica del medicinale di riferimento nonché una bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità.

Poiché i due farmaci in questione erano posti in due diverse categorie di equivalenza, ciò comportava che differente fosse il prezzo di riferimento. L’accorpamento in un’unica categoria, invece, ha fatto sì che il prezzo di riferimento divenisse unico, con la conseguenza che i produttori dei medicinali con una più elevata concentrazione di esteri etilici EPA e DHA si sono trovati a subire la concorrenza dei prodotti della medesima tipologia, ma con una minore concentrazione di principi attivi, i quali avevano un prezzo di riferimento più basso.

Il TAR più che sindacare il merito del provvedimento AIFA, rileva come lo stesso non sia supportato da una idonea attività istruttoria.

In particolare, evidenzia come AIFA, quando era stata chiamata a pronunciarsi sull’equivalenza tra farmaci aventi le diverse formulazioni (84%; 85%) al momento del rilascio dell’AIC, dopo un’attenta e approfondita istruttoria, ne avesse escluso la sostituibilità (c.d. effetto switch), disponendo, anzi, che fossero inseriti in elenchi separati; mentre adesso adotta un provvedimento di senso opposto unicamente sulla base della considerazione (propria) “la CTS non ritiene possibile l’esistenza di una differenza in termini di effetti terapeutici a seguito della differente concentrazione (84% vs 85% di EPA+DHA) tra le due formulazioni. Tali formulazioni devono essere pertanto ritenute terapeuticamente equivalenti”.

La determinazione assunta da AIFA e qui impugnata, quindi, non risulta essere stata adottata sulla base di alcuno studio o nuova documentazione tecnica intervenuta nel frattempo, che ne dimostrasse la comune efficacia.

 

L’altro caso

Al contrario, nel caso Gilead- Abbvie le due Aziende farmaceutiche, intenzionate a ottenere un provvedimento di dis-equivalenza, contestavano che l’onere probatorio, ossia il compito di produrre la documentazione tecnico-scientifica a supporto della determinazione finale, gravasse in capo all stesse e non già ad AIFA.

Sintetizzando la fattispecie per punti:

  • la stazione appaltante aveva richiesto ad AIFA di esprimersi sull’equivalenza dei due medicinali producendo idonea documentazione tecnica,
  • AIFA si era espressa in termini positivi motivando e facendo riferimento anche all’assenza di studi di superiorità,
  • le aziende interessate chiedevano ad AIFA una pronuncia di “dis-equivalenza”, affermando che l’AIFA stessa avrebbe dovuto svolgere un’attività di reperimento di documentazione, tra cui gli eventuali studi di superiorità.

In tal caso, il Collegio negava tale possibilità, in quanto è onere della parte istante produrre idonea documentazione a sostegno della propria richiesta; inoltre, un simile onere non può gravare sulle risorse pubbliche, avendo le aziende private sicuramente maggiori disponibilità delle Amministrazioni statali “in considerazione delle notevoli risorse e delle ampie dimensioni organizzative di cui le stesse possono normalmente disporre”.

Nel caso definito, invece, dalle quattro sentenze gemelle di cui sopra, il Giudice riconosce in capo ad AIFA il dovere di effettuare le proprie valutazioni sulla base di un’adeguata istruttoria e di uno studio di bioequivalenza/biodisponibilità comparativa.

 

La coerenza dei giudici

Le pronunce non sono in antitesi, bensì trattasi di una coerente applicazione di quello che il TAR definisce un “comune schema di funzionamento o meglio di una pressoché assodata scansione procedimentale” e ancora “uno schema dove la PA, a ben vedere, resta in qualche modo ‘alla finestra’ dal momento che essa è chiamata tutto sommato ad esprimersi su una istruttoria e su alcune preliminari valutazioni effettuate, per lo più, da soggetti privati proponenti” (TAR Lazio 9203/2020).

In base della regola, quindi, che a sostegno di una istanza è necessario produrre la documentazione a sostegno della stessa, non vi è un’inversione dell’onere probatorio, prima a carico dell’Impresa farmaceutica e ora, in contrasto con quanto dichiarato nelle pronunce Abbvie-Gilead, a carico dell’Amministrazione.

Semplicemente quest’ultimo caso trae origine da un procedimento d’ufficio che non esonera l’Amministrazione procedente (AIFA) dal reperire la documentazione necessaria all’istruttoria obbligatoria per l’adozione di un provvedimento amministrativo.

 

Conclusioni

Pertanto, se è vero che i medicinali in questione contengono principi attivi della medesima tipologia, è altrettanto vero (e non contestato dalla Amministrazione) che la concentrazione di principi attivi è differente nelle due categorie, come pure differente è il numero delle relative unità posologiche (la prescrizione posologica è maggiore per i farmaci aventi una minore concentrazione di principi attivi). In assenza di studi di bioequivalenza/biodisponibilità comparativa, la determinazione dell’A.I.FA. di accorpare in un’unica categoria della Lista di Trasparenza i farmaci in questione ha determinato una illegittima equiparazione degli stessi.

 

Riflessioni finali

Il tema dell’equivalenza e ancor più della dis-equivalenza terapeutica e a chi spetti dimostrarlo per le notevoli ricadute sul piano approvvigionativo e ancor più prescrittivo, tiene ancora banco e si arricchisce di pronunce che non tarderanno a sollevare ulteriore dibattito e confronto.

I termini sono sostanzialmente chiari: al momento, l’equivalenza tra prodotti diversi sotto il profilo terapeutico viene data per assodata ai fini approvvigionativi; chi la contesta (l’industria) si deve impegnare a sostenere l’onere e produrre le prove. Analogamente, per produrre prove di equivalenza laddove i prodotti sono diversamente classificati, chi (AIFA) intende riclassificare deve svolgere analogo impegno. Non c’è strabismo giurisprudenziale o sdoppiamento della personalità nel giudizio, ma coerenza indipendente e assennata. Sarà ora interessante verificare se le sentenze in questione saranno impugnate e come si vorrà pronunciare il Consiglio di Satato.