Farmaci biosimilari tra contenimento della spesa sanitaria, diritto alla salute e libertà prescrittiva del medico
Prof. Mauro De Rosa, Avv. Sabrina Devoto
Per i Giudici amministrativi è “illegittima, con riferimento ai farmaci biologici, la previsione di un meccanismo autorizzatorio che àncora l’acquisto in deroga di farmaco biologico non aggiudicato, non già alla valutazione medica di appropriatezza di cura e di garanzia della continuità terapeutica, bensì esclusivamente a valutazione di carattere economico”.
La recente sentenza del TAR Toscana n. 400/2019, che ha annullato la Delibera della Giunta Regionale della Toscana n. 194/2018, ha riportato l’attenzione sui limiti delle politiche di governance regionali che cercano di contenere e razionalizzare la spesa farmaceutica: tali previsioni inevitabilmente possono scontrarsi con il diritto alla salute dei pazienti nonché con l’autonomia decisionale del medico nella prescrizione di un farmaco.
Ancora una volta i Giudici amministrativi, con specifico riferimento ai farmaci biologici, hanno ribadito che esiste un “limite invalicabile” alla potestà decisionale delle Regioni ed annullato il provvedimento regionale.
La Regione, preso atto della sentenza del TAR, ha recentemente emanato un nuovo provvedimento volto a incentivare l’uso dei biosimilari aggiudicatari, ma anche tale provvedimento non sembrerebbe essere esente da criticità e potrebbe essere portato anch’esso all’attenzione dei Giudici amministrativi.
Il caso: TAR Toscana 400/2019
La Giunta regionale della Toscana con delibera n.194/2018 revocava la precedente delibera n.960/2017 ed approvava il documento “Percorso gestione ordini farmaci”, il quale al punto 5, senza distinguere tra farmaci di origine chimica e farmaci di origine biologica, prevedeva:
“5) Tutte le richieste di acquisizione di farmaci diversi da quelli aggiudicati devono essere inserite a cura delle farmacie aziendali di riferimento nel “Portale ESTAR – Richiesta nuovi prodotti” secondo le proprie procedure interne. Le richieste inserite nel portale sono valutate dal Settore Politiche del farmaco ed appropriatezza, avvalendosi delle competenze dell’Organismo Toscano per il Governo Clinico (OTGC) ed il Gruppo HTA di Estar.
La valutazione sarà improntata sulle politiche di governance della spesa e della sostenibilità dell’assistenza farmaceutica regionale, limitando la variabilità geografica nell’assistenza regionale. L’esito della valutazione viene reso disponibile al Centro richiedente sempre attraverso lo strumento informatico di ESTAR. In caso di positivo riscontro è cura del Settore Politiche del farmaco ed appropriatezza inoltrare ad ESTAR l’autorizzazione per l’acquisizione del prodotto non aggiudicato. ESTAR provvede ad acquisire il prodotto non aggiudicato e a renderlo visibile e richiedibile, nel più breve tempo possibile.”
La società Roche, che aveva già impugnato la precedente D.G.R. n. 960/2017, proponeva ricorso al TAR Toscana per chiedere l’annullamento della D.G.R. n. 194/2018 “Percorso gestione ordini di farmaci. Revoca della DGR n. 960/2017”.
I Giudici amministrativi con la sentenza n. 400 del 21.03.2019 ritengono il ricorso fondato: la funzione della Regione di orientamento nei confronti dei medici prescrittori, nell’ambito di politiche di razionalizzazione della spesa farmaceutica, non può “svalicare” l’autonomia decisionale del medico nella prescrizione di un farmaco.
Nel caso di specie, ove la Regione ha dettato una disciplina uniforme senza distinguere tra farmaci biologici o di sintesi, risulta illegittima la previsione di un meccanismo autorizzatorio che vincola l’acquisto in deroga di farmaco biologico non aggiudicato esclusivamente a valutazione di carattere economico senza tener conto della valutazione medica di appropriatezza di cura e di garanzia della continuità terapeutica. Ribadiscono, inoltre i Giudici che in merito ai farmaci biologici la biosimilarità non è mai piena sovrapponibilità, tra farmaco originator e i suoi biosimilari.
La libertà prescrittiva dei medici
Il principio generale, secondo cui spetta al medico la scelta del principio attivo da prescrivere, è stato desunto dai Giudici amministrativi dall’art. 15 comma 11 bis del DL 95/2012 (introdotto dal DL 179/2012 convertito con L 221/2012).
Il comma 11 bis art.15 DL 95/2012 prevede:
“Il medico che curi un paziente, per la prima volta, per una patologia cronica, ovvero per un nuovo episodio di patologia non cronica, per il cui trattamento sono disponibili più medicinali equivalenti, è tenuto ad indicare nella ricetta del Servizio sanitario nazionale la sola denominazione del principio attivo contenuto nel farmaco. Il medico ha facoltà di indicare altresì la denominazione di uno specifico medicinale a base dello stesso principio attivo; tale indicazione è vincolante per il farmacista ove in essa sia inserita, corredata obbligatoriamente di una sintetica motivazione, la clausola di non sostituibilità di cui all’articolo 11, comma 12, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. Il farmacista comunque si attiene a quanto previsto dal menzionato articolo 11, comma 12.”
Anche la Corte di Giustizia della Comunità Europea (con la sentenza del 5.05.2011 sul caso C316/09) ha riconosciuto l’esistenza di detto principio generale rilevando che “la decisione finale sul medicinale assunto dal paziente continui (debba continuare) ad essere di competenza del medico curante”.
L’appropriatezza prescrittiva
Il medico non può essere irresponsabile nell’atto prescrittivo e, quindi, se da una parte è sempre libero di prescrivere, dall’altra non è libero di prescrivere in maniera inappropriata: si deve attenere alle linee guida e/o alle buone pratiche.
La prescrizione del medico secondo “scienza e coscienza” è tuttora prevista dal DPR n. 270/2000, Regolamento di esecuzione dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, anche se detto decreto prevede che i medici si attengano alle condizioni e limitazioni previste dalle note CUF previste dal Ministero della Sanità (oggi AIFA).
Come previsto dall’art. 15 bis dell’accordo collettivo approvato con DPR n. 270/2000, l’appropriatezza a cui deve attenersi il medico non è solo appropriatezza nella scelta della cura per il singolo paziente ma è anche l’appropriatezza nell’uso delle risorse:
Art. 15-bis – Appropriatezza delle cure e dell’uso delle risorse
- Il medico di medicina generale concorre, unitamente alle altre figure professionali operanti nel Servizio sanitario nazionale, a:
- a) assicurare l’appropriatezza nell’utilizzo delle risorse messe a disposizione dalla Azienda per l’erogazione dei livelli essenziali ed appropriati di assistenza ed in attesa della definizione di linee guida consensuali, come previsto dal Piano sanitario nazionale 1998-2000 e dall’art. 14, comma 2, lettera i);
- b) ricercare la sistematica riduzione degli sprechi nell’uso delle risorse disponibili mediante adozione di principi di qualità e di medicina basata sulle essenze scientifiche;
- c) operare secondo i principi di efficacia e di appropriatezza degli interventi in base ai quali le risorse devono essere indirizzate verso le prestazioni la cui efficacia è riconosciuta secondo le evidenze scientifiche e verso i soggetti che maggiormente ne possono trarre beneficio.
(omissis)
Anche il secondo Position Paper di AIFA sui farmaci biosimilari ribadisce il dovere del medico di utilizzare le risorse del sistema sanitario in modo appropriato:
“Pur considerando che la scelta di trattamento rimane una decisione clinica affidata al medico prescrittore, a quest’ultimo è anche affidato il compito di contribuire a un utilizzo appropriato delle risorse ai fini della sostenibilità del sistema sanitario e la corretta informazione del paziente sull’uso dei biosimilari.”
Le competenze Stato – Regioni
Il problema della libertà prescrittiva è correlato all’esigenza di garantire a tutti i pazienti gli stessi livelli di assistenza e non può prescindere da un’attenta valutazione di quelle che sono le competenze regionali e statali, con incidenza sui principi garantiti a livello costituzionale.
Il diritto alla dispensazione dei farmaci viene, infatti, ricondotto dalla giurisprudenza al diritto alla salute costituzionalmente garantito dall’art. 32 Cost., anche se il primo “non ha carattere di assolutezza, essendo conformabile in base ad esigenze di contenimento della spesa pubblica, ed è soggetto alla verifica della legittimità sostanziale delle scelte operate dall’ente in base a criteri di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa”.
Nel nuovo quadro costituzionale introdotto dalla L. Cost. n. 3/2001, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che la materia relativa alle modalità di distribuzione dei farmaci e all’attività medico–prescrittiva appartenga alla competenza legislativa concorrente Stato – Regioni, in quanto riconducibile alla tutela della salute ex art. 117, comma 3, della Costituzione.
La fissazione dei limiti e dei criteri che devono guidare il medico nella scelta del farmaco, che meglio risponda alle esigenze terapeutiche del singolo caso, non può che appartenere ai principi fondamentali da stabilire con legge statale, trattandosi di uno dei casi in cui occorre assicurare uniformità di trattamento nei diritti a livello nazionale, incidendo sul diritto alla salute riconosciuto dall’art. 32 della Costituzione.
In questo contesto normativo le Regioni possono intervenire con proprie leggi nel rispetto dei principi fondamentali riservati alla legislazione statale e, ove esistenti, dei vincoli derivanti dalla normativa comunitaria; in particolare, nell’esercizio del potere e per le finalità di risparmio della spesa farmaceutica, possono porre delle limitazioni alla scelta del principio attivo più idoneo da parte del medico prescrittore ma tali limitazioni possono essere disposte solo qualora risulti la equivalenza terapeutica tra medicinali basati su diversi principi attivi, “equivalenza” che deve risultare da “motivate e documentate valutazioni espresse dall’Agenzia italiana del farmaco“.
Diversamente, una limitazione regionale non assistita dalla mediazione della valutazione qualificata e insostituibile dell’AIFA finisce per risultare lesiva, oltre che delle competenze di quest’ultima, anche delle prerogative professionali dei medici in ordine alla scelta della cura più appropriata.
La giurisprudenza
In questo contesto normativo, i Giudici amministrativi hanno dovuto affrontare vari casi in cui sono stati portati alla loro attenzione provvedimenti delle Regioni (o delle singole ASL) volti a contenere la spesa sanitaria farmaceutica che potevano avere una incidenza diretta o indiretta sulla scelta prescrittiva del medico, sia ospedaliero che convenzionato.
Sono stati oggetto di impugnazione prevalentemente le deliberazioni delle Regioni volte ad incentivare (o imporre) la scelta di farmaci biosimilari meno costosi rispetto all’originator di riferimento.
La giurisprudenza degli ultimi anni è stata caratterizzata dalla ricerca del punto di equilibrio tra le esigenze degli enti locali di contenere la spesa sanitaria farmaceutica, l’esigenza di garantire una cura efficacie ai pazienti assistiti dal SSN ed il diritto del medico di essere libero di prescrivere ai propri pazienti i farmaci che ritiene più appropriati secondo ragionevolezza, scienza e coscienza.
Il medico prescrittore ha, infatti, il preciso dovere di scegliere fra prodotti ritenuti di pari efficacia terapeutica (accertata da AIFA), quello meno oneroso per il servizio sanitario nazionale e, dall’altro, è stato specificato che il medico può essere chiamato a documentare e giustificare le proprie prescrizioni, incoerenti con l’obiettivo di contenimento della spesa dettate a livello regionale o locale, mediante adempimenti in termini di motivazione e redazione di moduli che non siano illogici o sproporzionati.
Sono stati ritenuti, quindi, legittimi i provvedimenti regionali che, individuando la preferenzialità/indicazioni d’uso di farmaci che hanno perso il brevetto ovvero che hanno vinto il confronto competitivo ovvero che sono usati per la prima volta in un determinato paziente (naïve) e sono biosimilari o equivalenti, prevedevano che il medico dovesse motivare la prescrizione del farmaco più costoso.
Ancora recentemente il Consiglio di Stato con sentenza n. 3621/2017 ha ribadito che “costituisce dovere, anche per il medico prescrittore, quello di scegliere, tra i prodotti ritenuti di pari efficacia terapeutica, quello meno oneroso per il Servizio sanitario nazionale” e che il provvedimento della Regione Basilicata impugnato non lede “la libertà prescrittiva del medico, poiché rimette comunque alla sua competenza, e alla sua responsabilità, la scelta di adottare il farmaco originator più costoso per i pazienti naive nel caso di documentata insufficiente risposta clinica del paziente, sia in termini di intolleranza al farmaco meno costoso che di minor efficacia di questo rispetto ad altro farmaco originator, più oneroso per il Servizio sanitario nazionale”.
Concludendo che “le esigenze di contenimento della spesa sanitaria, sottese all’adozione di questo e di consimili provvedimenti regionali (…), pur nella loro preminenza, ed urgenza, non intaccano quel nucleo irriducibile del diritto alla salute, che può e deve trovare adeguata soddisfazione nella scelta terapeutica del farmaco più costoso, laddove risulti, secondo la specificità del caso, il solo o comunque il più indicato per le esigenze cliniche del paziente”.
La Delibera della Giunta Regionale della Toscana n. 457/2019
La Giunta toscana con la delibera n. 457 del 1.04.2019 ha preso atto dell’annullamento operato dal TAR Toscana con la sentenza n. 400/2019 e, richiamato il secondo Position Paper di AIFA sui farmaci biosimilari, ha approvato il “Percorso di approvvigionamento ed utilizzo dei farmaci biologici nella Regione Toscana” con l’intento di garantire l’appropriatezza e limitare la variabilità geografica dell’assistenza farmaceutica sul territorio regionale.
Il nuovo documento prevede che:
“Nelle aziende sanitarie, sia i pazienti naïve che i pazienti in terapia con il farmaco “originator” riceveranno il nuovo farmaco “biosimilare”, se aggiudicatario della procedura pubblica di acquisto, salvo diversa documentata indicazione da parte del medico prescrittore, cui spetta sempre la decisione finale, non essendo consentita la sostituibilità automatica da parte del farmacista. Nei casi in cui il medico prescrittore ritenga opportuno continuare ad utilizzare il farmaco “originator” e comunque non aggiudicatario della procedura pubblica di acquisto, dovrà predisporre una sintetica ma esaustiva relazione che documenti le ragioni cliniche che rendono necessaria la somministrazione del farmaco non aggiudicatario di gara rispetto al farmaco aggiudicatario.
La relazione dovrà essere incentrata principalmente secondo le seguenti motivazioni:
-il valore terapeutico aggiunto rispetto alle nuova terapie biosimilare già contrattualizzata/aggiudicata;
-la qualità delle prove, ovvero la robustezza degli studi clinici a supporto della decisione clinica rispetto alle terapie già contrattualizzate/aggiudicate;
-l’impatto economico della terapia rispetto alle terapie già contrattualizzata/aggiudicata.”
Questo nuovo “percorso” dichiara che “in questo modo al medico è garantita la libertà prescrittiva, al fine di tutelarne l’indipendenza nella scelta delle terapie ritenute migliori e più appropriate per il singolo paziente, come è normato anche dal Codice di Deontologia Medica”.
Ma la libertà prescrittiva è veramente garantita visto la natura delle motivazioni che il medico dovrà effettuare?
Si tratterà di verificare se la Società precedentemente ricorrente riterrà opportuno opporsi nuovamente in quanto tali motivazioni sembrano apparentemente limitative delle prerogative del medico visto che appaiono non centrate esclusivamente sulla situazione clinica del singolo paziente ma sembrano maggiormente legate alla comparazione tra farmaco originator e biosimilare.
E se tali motivazioni fossero ritenute congrue rispetto ai pazienti naïve lo sarebbero altrettanto per i pazienti già in trattamento?
Su queste tematiche ancora una volta spetterà al Collegio giudicante pronunciarsi tenuto conto che su queste tematiche si giocano interessi consistenti e si delineano due opposte visioni tra il Decisore pubblico e talune Aziende farmaceutiche, apparentemente inconciliabili tra loro.
Riflessioni finali
L’Amministrazione non è sempre tenuta a servirsi del farmaco in assoluto più evoluto o ritenuto migliore, soprattutto se il farmaco più evoluto è certamente più costoso di altro farmaco di pari e sicura efficacia nella terapia della maggior parte dei casi trattati; tuttavia , nell’ambito delle misure di governance, si deve prevedere la possibilità di acquisire anche il farmaco più evoluto e costoso se ciò si rileva (per una parte dei pazienti da trattare) realmente necessario.
Nell’ottica di contenimento della spesa farmaceutica, anche la libertà prescrittiva del medico può subire delle limitazioni, fermo restando il diritto/dovere del medico di individuare la prescrizione più appropriata per il trattamento del paziente.
Nel caso oggetto della sentenza TAR Toscana 400/2019 (non ancora passata in giudicato), l’Amministrazione regionale, con la DGR 194/2018, apparentemente sembra andare oltre i limiti delle sue competenze, vincolando la possibilità di acquistare i farmaci non aggiudicatari delle gare d’appalto a mere valutazioni di natura economica, laddove queste utilizzassero il criterio di aggiudicazione basato sul prezzo più basso.
Nella DGR 457/2019, l’elemento di garanzia invocato a tutela del paziente sembrerebbe soddisfatto dalla richiesta al medico di supportare la prescrizione di un farmaco più costoso da valutazioni in ordine al valore terapeutico aggiunto e alla robustezza della qualità delle prove, elementi che AIFA ha introdotto ad esempio per la valutazione della innovatività dei nuovi prodotti.
Anche tale provvedimento, però, non pare essere esente da criticità, vista anche la velocità con cui è stato emanato, e potrebbe essere causa di un nuovo ricorso ai giudici amministrativi, i quali dovranno ancora una volta valutare il punto di equilibrio tra i diritti e gli interessi in gioco.