Accordi stragiudiziali e pratiche anticoncorrenziali – la stretta europea sulle case farmaceutiche!
Dott.ssa Anna Garaventa
Risale al 2008 la decisione della Commissione europea di avviare un’indagine sul settore farmaceutico alla luce del declino dell’innovazione in detto settore correlata anche al tardivo ingresso sul mercato di prodotti generici. Da allora ad essere stati posti sotto la lente di ingrandimento sono stati in particolar modo i numerosi accordi stragiudiziali conclusi tra aziende produttrici di farmaci originator il cui brevetto era prossimo alla scadenza e aziende c.d. “genericiste”.
Tale attività di indagine ha portato alla comminazione da parte della Commissione europea, ma anche da parte di autorità nazionali, di importanti provvedimenti sanzionatori che hanno trovato conferma anche in sede giurisdizionale.
È così che al lungo elenco di Aziende ritenute responsabili di condotte anticoncorrenziali ex art. 101 TFUE (restrizione della concorrenza per oggetto) si aggiunge anche Lundbeck, le cui sanzioni sono state confermate in appello dalla Corte di Giustizia con sentenza C-591/16 pubblicata il 25 marzo.
Premessa
Lundbeck, azienda produttrice di medicinali originali ha concluso sei accordi riguardanti il proprio prodotto coperto da brevetto citalopram (antidepressivo contenente IFA) con quattro aziende farmaceutiche “genericiste” (Merck, Alpharma, Ranbaxy, Arrow).
La giustificazione degli accordi era la seguente: avvicinandosi la scadenza della tutela brevettuale, o permanendo la sola validità di CPC o brevetti di procedimento, sussisteva il rischio che le aziende genericiste fossero pronte a fare il loro ingresso sul mercato e mettessero in atto azioni che avrebbero potuto dar luogo a violazioni dei diritti di proprietà intellettuale della Lundbeck a difesa dei quali avrebbe dovuto intentare numerose azioni legali.
Gli accordi
Lo schema degli accordi, in estrema sintesi, prevedeva che Lundbeck versasse alle genericiste un certo importo dietro consegna dei prodotti generici concorrenti. I pagamenti e la consegna dei prodotti avrebbero costituito il soddisfacimento completo e definitivo di qualsiasi rivendicazione che la Lundbeck avrebbe potuto avanzare nei confronti della Azienda genericista per la violazione dei suoi diritti di proprietà intellettuale, ricalcando quanto già avvenuto nel caso Servier, Biogaran e Niche vs Commissione (CGUE 12-12-21018 Causa T-677/14; CGEU-T 12-12-2018 Causa T-691/14; CGUE-T 12-12-2018 Causa T-701/14, ne avevamo già parlato qui) e nel caso Generics vs Competition and Markets Authority (C-307/18).
La giurisprudenza sopra citata è costantemente richiamata dai giudici della Corte, in particolare il caso Generics -trattandosi di sentenza definitiva- confermando quanto da noi previsto in passato, ossia la natura di “sentenze trattato” delle stesse che sarebbero divenute paradigma per i casi futuri.
Il nodo della questione è tracciare i confini di liceità degli accordi conclusi in composizione amichevole di controversie o al fine di non doverne intentare alcuna.
Infatti, secondo la Corte, dovendosi procedere ad un’interpretazione restrittiva della nozione di restrizione per oggetto, tali accordi che hanno avuto l’effetto di rinviare l’ingresso nel mercato di medicinali generici in contropartita di trasferimenti di valori a carattere monetario o non monetario del primo in favore dei secondi, non possono essere considerati, in ogni caso, come «restrizioni per oggetto», ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE.
A tal fine è necessario “valutare se il saldo positivo netto dei trasferimenti di valori del produttore di medicinali originali a favore del produttore di medicinali generici fosse sufficientemente rilevante per indurre effettivamente il produttore di medicinali generici a rinunciare ad entrare nel mercato interessato e, pertanto, a non fare concorrenza in base ai meriti al produttore di medicinali originali, senza che sia richiesto che tale saldo positivo netto sia necessariamente superiore agli utili che tale produttore di medicinali generici avrebbe tratto se fosse risultato vittorioso nel procedimento in materia di brevetti”.
Inoltre, se la conclusione, da parte del titolare di un brevetto, di un accordo di composizione amichevole con un presunto contraffattore che non eccede la portata e la durata di validità residua di tale brevetto costituisce certamente l’espressione del diritto di proprietà intellettuale di tale titolare e lo autorizza, in particolare, a opporsi a qualsiasi contraffazione, resta il fatto che detto brevetto non autorizza il suo titolare a concludere contratti che violerebbero l’articolo 101 TFUE.
Gli argomenti della Corte
La Corte rileva che anche se gli accordi controversi contenevano altresì restrizioni rientranti potenzialmente nell’ambito di applicazione dei nuovi brevetti di procedimento di Lundbeck, «tali accordi andavano al di là dell’oggetto specifico dei loro diritti di proprietà intellettuale, che includevano, certamente, il diritto di opporsi alle contraffazioni, ma non quello di concludere accordi con i quali concorrenti reali o potenziali del mercato venivano pagati per non entrare nel mercato».
Occorre soffermarsi sulle caratteristiche proprie dell’accordo, sui suoi elementi costitutivi, non rilevando eventuali giustificazioni o motivazioni che hanno portato alla conclusione dello stesso.
Alla luce di tale assunto, non può trovare spazio l’argomento secondo cui gli accordi controversi costituirebbero una risposta al fatto che il risarcimento al quale possono aspirare i produttori di medicinali originali in caso di ingresso illecito di medicinali generici nel mercato sarebbe spesso ampiamente inferiore ai danni subiti dai primi, in quanto spetta alle autorità pubbliche e non a imprese private garantire il rispetto delle prescrizioni di legge.
È, pertanto, inaccettabile che alcune imprese tentino di porre rimedio agli effetti di norme giuridiche che esse ritengono troppo sfavorevoli concludendo intese finalizzate a correggere tali svantaggi con il pretesto che dette norme creano uno squilibrio a loro danno.
I giudici europei respingono l’ulteriore argomento difensivo di Lundbeck, secondo il quale al momento della conclusione degli accordi in esame, non esisteva ancora una giurisprudenza sul tema, una prassi decisionale che chiarisse i limiti di legittimità di tali accordi.
Infatti, come giustamente rilevato già dal Tribunale nella sentenza di primo grado, non è affatto necessario che lo stesso tipo di accordi sia già stato condannato dalla Commissione perché tali accordi possano essere considerati restrittivi della concorrenza per oggetto, e ciò quand’anche essi intervengano in un contesto specifico come quello dei diritti di proprietà intellettuale.
D’altra parte, perché una norma in vigore sia applicabile e i comportamenti da essa previsti siano sanzionabili non è certo necessaria una prassi decisionale da parte della Commissione o un consolidamento giurisprudenziale, a maggior ragione se la “pretesa di conoscenza” è vantata nei confronti di soggetti esperti del settore, dai quali è esigibile un certo grado di diligenza.
La Corte respinge in toto le difese di Lundbeck, confermando la legittimità delle sanzioni inflittele e per le quali la Società sarà costretta al pagamento di oltre € 93.766.000,00.
Lo stesso giorno è stata pubblicata la sentenza C-611/16 nei confronti di Xellia-Alpharma dall’esito analogo.
Il caso Lundbeck va ad aggiungersi al caso Generics e Servier-Biogaran-Niche, sopra menzionati, creando ed incrementando una giurisprudenza europea in materia di condotte anticoncorrenziali particolarmente esaustiva, la quale, unitamente al valore delle sanzioni inflitte, si auspica abbia il duplice effetto di “istruire” sulla materia gli operatori di settore e accelerare il processo di innovazione dello stesso.
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