Patent Linkage e CPC: novitá di rilievo per generici e biosimilari, ma non per l’Italia!
Dott.ssa Anna Garaventa
In questi giorni si assiste con soddisfazione ai progressi raggiunti in ambito europeo in merito alla modifica del Regolamento europeo 469/2009 sul SPC (Supplementary Protection Cetificate) o anche CPC (Certificato protettivo complementare).
Dopo il parere favorevole espresso dal CESE a dicembre 2018 sul progetto di modifica elaborato dal Parlamento il 14 febbraio le tre istituzioni principali dell’UE: Consiglio europeo, Parlamento e Commissione hanno raggiunto un accordo sul testo del progetto, sul quale il 20 febbraio si è espresso favorevolmente anche il Coreper (Comitato dei rappresentanti permanente dei governi degli Stati membri dell’Unione europea).
Quali novità?
Il testo di compromesso prevede che le Aziende “genericiste” con sede all’interno del territorio dell’UE potranno produrre la versione generica o biosimilare del prodotto di riferimento (originator) anche se ancora protetto da un SPC (o CPC) vigente, derogando quindi al divieto oggi in essere di espletare qualsiasi attività (produzione, stoccaggio, esportazione, detenzione ecc.) sino al giorno successivo alla scadenza del brevetto.
Tale deroga concerne la produzione ai fini dell’esportazione in paesi extra-UE, ove la protezione non esiste o è già scaduta, negli ultimi cinque anni di vigenza dello SPC, e della produzione e stoccaggio per la futura commercializzazione interna all’UE una volta scaduto il brevetto, in tale ultima ipotesi però l’attività potrà avere inizio solo negli ultimi sei mesi di validità del SPC (il termine era di 2 anni nel precedente testo proposto dal Parlamento).
È stata, quindi, accolta positivamente la proposta emendativa avanzata dall’ENVI (Committee on the Environment, Public Health and Food Safety, ossia la Commissione Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare presso il Parlamento UE) relativa al c.d. “on Day-1 Launch”, cosicché divenga concreta ed effettiva la possibilità per le genericiste di entrare sul mercato europeo dal giorno successivo alla scadenza del CPC/SPC.
A carico degli interessati saranno previsti obblighi di notifica e/o comunicazione finalizzati al controllo del rispetto della normativa, in particolare questi dovranno fornire almeno tre mesi primale informazioni richieste dal Regolamento sia alle autorità dello Stato membro di produzione sia al titolare dell’SPC.
Nel caso di attività per l’esportazione, inoltre, il fabbricante deve informare i soggetti coinvolti nella commercializzazione del prodotto del fatto che lo stesso può essere immesso sul mercato solo al di fuori dell’UE e tale destinazione d’uso dovrà risultare anche da specifico logo apposto sulla confezione.
È proprio in merito a tali obblighi, però, che sorgono le prime preoccupazioni da parte degli esponenti del settore: se da una parte le associazioni dei produttori di generici e biosimilari temono che da questi seguano oneri gravosi con la finalità di scoraggiare le aziende a ricorrere al regime derogatorio, dall’altra i produttori degli originator ritengono che l’industria dell’innovazione ne risentirà negativamente, non essendo poste sufficienti garanzie a tutela della proprietà intellettuale.
Quando?
Le tempistiche per l’adozione del nuovo testo si prefigurano brevi, in quanto, una volta sottoposto al controllo linguistico e giuridico, questo tornerà al Consiglio e al Parlamento europeo per l’adozione definitiva, il che potrebbe presumibilmente accadere entro aprile, mese in cui si concluderà la legislatura, per l’effettiva entrata in vigore dovrà, invece, attendersi il 2022.
Limitazioni
Nei primi tre anni di entrata in vigore della normativa la possibilità di richiedere la deroga riguarderà solo quei prodotti il cui SPC è stato richiesto a partire dalla data di entrata in vigore del nuovo Regolamento (2022). Trascorso il periodo transitorio, la nuova normativa si estenderà ai certificati antecedenti, ma divenuti efficaci dopo l’entrata in vigore della stessa.
E l’Italia?
Trattandosi di Regolamento, ossia fonte primaria, lo stesso troverà diretta applicazione in tutti gli Stati Membri, Italia compresa.
Il quadro che verrà presto a delinearsi avrà quale effetto quello di velocizzare l’ingresso dei prodotti generici e biosimilari sul mercato europeo, tuttavia l’entusiasmo nei confronti delle novità sopra descritte risente nel nostro Paese di una nota amara in considerazione della permanenza del c.d. patent-linkage.
Patent-linkage: cos’è?
Con il termine patent linkage si intende la pratica di collegare o, meglio, subordinare l’autorizzazione all’immissione in commercio dei medicinali (AIC), la determinazione del prezzo, l’ammissione alla rimborsabilità e/o altra autorizzazione relativa ad un prodotto generico allo status, e, quindi, alla vigenza del brevetto del prodotto originario di riferimento.
In sostanza ad un organo di diritto pubblico (AIFA), a cui spetterebbe unicamente la verifica della qualità, sicurezza ed efficacia dei medicinali, si attribuisce un potere di controllo sull’eventuale vigenza di un CPC, a prescindere dall’effettiva legittimità e validità dello stesso – controllo che spetterebbe, invece, al giudice ordinario, trattandosi di materia brevettuale, quindi puramente civilistica.
Il dibattito su tale pratica è ormai risalente e ad oggi non ha trovato ancora soluzione.
Originariamente il patent linkage era previsto dall’art. 68, c. 1 bisD.Lgs. 30/2005, poi abrogato a seguito della procedura di infrazione attivata nei confronti dell’Italia nel 2009, ma la pratica è stata reintrodotta mediante l’art. 11, c. 1 L. 189/2012 in aperta violazione del diritto dell’Unione europea e incompatibilità con le norme nazionali degli altri Stati membri (la norma recita testualmente: “… in sede di periodico aggiornamento del Prontuario farmaceutico nazionale, i medicinali equivalenti, ai sensi di legge, ai medicinali di cui è in scadenza il brevetto o il certificato di protezione complementare non possono essere classificati come farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale con decorrenza anteriore alla data di scadenza del brevetto o del certificato di protezione complementare”).
Da allora sono seguite segnalazioni dell’Antitrust sia nel 2013 e sia nel 2014, mentre l’anno successivo Assogenerici in un suo comunicato denunciava nuovamente l’illegittimità del meccanismo e il danno per il SSN, il quale, secondo i calcoli di allora, aveva registrato un mancato risparmio di circa 210 milioni di euro.
Nonostante le posizioni sopra riportate, nel 2016 si è assistito alla bocciatura del D.L. in materia di concorrenza, limitatamente alle disposizioni che ne prevedevano l’abrogazione.
Risale proprio a tale anno il commento del presidente di Assogenerici, Enrique Häusermann, il quale esprimeva lo sconforto di fronte alla mancata eliminazione del meccanismo: “L’Italia resta così l’ultima nazione in Europa a consentire queste pratiche volte a ritardare l’ingresso dei farmaci equivalenti sul mercato, con i conseguenti mancati risparmi in termini di denaro pubblico” e, si aggiunge, minore offerta di cure per i pazienti.
Purtroppo ad oggi la soluzione a quello che può definirsi a tutti gli effetti un problema pare lontana, non pervenendo alcun segnale significativo e promettente da parte delle istituzioni. Anche il documento in materia di Governance farmaceutica del Ministero della Salute pubblicato a dicembre sembra aggirare il problema. Infatti, l’inserimento di un paragrafo titolato “Patent-linkage e adeguamento della normativa italiana alle direttive europee”, suscita in chi legge la speranza di una presa a carico del problema e di un impegno alla sua prossima soluzione, ma tale speranza è subito allontanata dal tenore di ciò che segue: “Il Ministero dello sviluppo economico garantisce la disponibilità di informazioni aggiornate e tempestive sulle date di scadenza brevettuale dei farmaci coperti da brevetto. La disponibilità di tali informazioni è rilevante per l’avvio delle attività finalizzate all’immissione in commercio dei farmaci generici e biosimilari, e per consentire l’effettiva commercializzazione contestualmente alla scadenza brevettuale (o del Certificato di Protezione Complementare). La certezza delle informazioni potrebbe contribuire alla riduzione sensibile del contenzioso sulla materia”.
Mentre l’Europa studia meccanismi che spingono verso una maggiore concorrenza con potenziale vantaggio per la salute dei cittadini e l’economia degli Stati membri, in Italia, pur trattandosi di argomenti differenti, vi è il rischio che si appesantisca la zavorra del patent-linkage, specialmente in considerazione del fatto che dal nuovo Regolamento seguiranno nuovi oneri di controllo e verifica da parte delle autorità preposte, le quali, se nel nostro Paese già agiscono al di fuori dei loro poteri, c’è da chiedersi come interpreteranno e daranno esecuzione a tali compiti.