Ossigeno terapeutico: sanzionate le pratiche anticoncorrenziali

Prof. Mauro De Rosa e Dott.ssa Anna Garaventa

 

È da dicembre che si sussegue la pubblicazione di una serie di pronunce del Consiglio di Stato (ad oggi sono 14) di condanna nei confronti delle più importanti Aziende attive nel servizio di fornitura di ossigeno, ossigenoterapia e ventiloterapia per aver posto in essere pratiche anticoncorrenziali, confermando così i provvedimenti sanzionatori emessi dall’AGCM, ma annullati in primo grado dal TAR.

 

Premessa

L’ossigeno terapeutico insieme con altri gas medicali prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 209/06 era normato semplicemente dalla Farmacopea Ufficiale italiana ed europea, che ne dava la seguente definizione: “I gas medicinali sono quei gas che presentano una monografia, nonché tutte le loro miscele”.

Con l’entrata in vigore del suddetto decreto la definizione cambia e diviene “ogni medicinale costituito da una o più sostanze attive gassose miscelate o meno ad eccipienti gassosi” e i prodotti devono quindi essere provvisti di un’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) nel rispetto delle norme del titolo III del D.Lgs. 219/09 sull’immissione in commercio dei medicinali (esclusi i medicinali preparati su richiesta scritta e non sollecitata del medico ex art. 5, D.Lgs. 219/06).

Terminata una fase transitoria, ora tutti i prodotti-ossigeno e altri gas non associati o in miscela- devono essere assoggettati alle regole secondo le quali è il titolare dell’A.I.C. a definire i propri canali di vendita e a formalizzare i relativi contratti commerciali con i vari soggetti della filiera nel rispetto delle leggi che li regolano.

Quanto in realtà è avvenuto successivamente documenta che le imprese che operano in questo settore hanno avuto una certa difficoltà a sottostare a queste regole.

 

Le condotte sospette e sanzionate

Le condotte sanzionate sono state perpetrate in occasione di differenti procedure di gara indette dalle stazioni appaltanti di diverse Regioni (Lombardia, Campania, Marche).

Per quanto concerne il caso lombardo, la sanzione dell’AGCM era intervenuta a seguito della denuncia da parte dell’ASL 1 Milano, la quale aveva dovuto bandire per ben quattro volte la gara per l’affidamento dei servizi di ventiloterapia domiciliare, per accettare alla fine le condizioni di acquisto estremamente onerose avanzate dalle Aziende, per altro, avendo dovuto sino a quel momento procedere alla continua proroga dei contratti di fornitura già in essere con le suddette Aziende.

In sostanza, le Imprese, ritenendo non vantaggiose le condizioni proposte dalla stazione appaltante, per ben tre volte hanno boicottato le procedure di gara indette tramite la mancata presentazione di offerte, mentre in occasione della quarta procedura avente una base d’asta più elevata, hanno tutte presentato un’offerta di ammontare identico, spartendosi i lotti a disposizione.

Analogamente, nel procedimento campano le Aziende prima si sono rifiutate congiuntamente di offrire il servizio di ossigenoterapia domiciliare al prezzo proposto dall’Amministrazione, mantenendo artificiosamente alto il prezzo del servizio, quindi hanno boicottato una procedura di accordo-quadro indetta da So.Re.Sa., salvo poi ripartirsi i lotti relativi all’ulteriore procedura bandita a seguito di riformulazione dell’accordo-quadro con prezzi più elevati.

Per quanto riguarda la Regione Marche, in questo caso le Società coinvolte hanno dapprima ostacolato sino al 2014 un effettivo confronto concorrenziale, impedendo all’Amministrazione di ricorrere allo strumento della gara, boicottando la partecipazione ad una gara, nonostante si fossero tutte pre-qualificate e avessero attivamente contribuito alla definizione dei documenti della stessa. Tuttavia, una volta indetta una nuova procedura negoziata alla quale avevano manifestato interesse altri operatori estranei al cartello, le Aziende hanno partecipato alla stessa presentando significativi ribassi.

I casi sopra descritti sono stati caratterizzati dal verificarsi di svariate condotte sospette emerse in sede di indagine da parte dell’AGCM, quali scambi mail tra le diverse imprese più o meno espliciti, appostamenti da parte di alcuni rappresentanti delle imprese davanti agli uffici pubblici volti a verificare che tutte le parti dell’intesa si attenessero ai piani e non si recassero a depositare eventuali offerte, intimidazioni a talune imprese da parte di alcuni produttori di ossigeno e fornitori delle stesse di sospendere le forniture necessarie alla loro attività.

 

L’intervento del Consiglio di Stato

Il CDS, confermando l’operato dell’AGCM, ha ritenuto in tutte le sentenze che le condotte di cui sopra integrassero una violazione dell’art. 2 L.287/90 e dell’art. 101 TFUE, configurando un’ipotesi di restrizione della concorrenza “per oggetto”.

Le sentenze offrono la possibilità di ripercorrere i principi vigenti in materia di concorrenza.

Il Collegio muove dall’assunto che in nessun caso è consentito agli operatori economici “di coordinarsi fra loro al fine di concertare una comune strategia commerciale finalizzata a conseguire una più elevata remunerazione delle prestazioni rese, dovendo gli stessi determinare in maniera autonoma il proprio comportamento sul mercato di riferimento” (CDS n. 8585/2019).

L’illiceità risiede innanzi tutto nel fatto che la pratica posta in essere dai diversi soggetti è stata concordata, al fine di falsare il gioco della concorrenza, il che non impedisce, al contrario, che gli operatori economici -singolarmente- reagiscano intelligentemente al comportamento noto o presunto dei concorrenti.

L’intesa restrittiva può realizzarsi mediante “accordi” o tramite le c.d. “pratiche concordate”, entrambe “forme collusive che condividono la medesima natura e si distinguono solo per la loro intensità e per le forme in cui esse di manifestano” (CDS n. 8584/2019), e all’interno delle seconde il Consiglio di Stato ha ricondotto le attività poste in essere dalle diverse Aziende.

Tale distinzione si ripercuote sul piano probatorio, in quanto le pratiche concordate sono descritte come una forma di coordinamento e cooperazione consapevole (concertazione) tra imprese a danno della concorrenza che non richiede, come l’accordo, una manifestazione di volontà reciproca tra le parti, o un vero e proprio piano, tanto è vero che il coordinamento può essere raggiunto attraverso un mero contatto diretto o indiretto fra le imprese.

Da ciò si desume che non si è di fronte a una autonoma fattispecie di diritto sostanziale rigorosamente definita nei suoi elementi costitutivi, bensì -afferma il Collegio- “a una fattispecie strumentale sul piano probatorio in funzione dell’accertamento di un’intesa restrittiva vietata, indicativa dell’esistenza di una concertazione”.

Il carattere indicativo fa sì che in merito ad essa non sia richiesta la prova documentale, atteso che la volontà convergente delle imprese volta alla restrizione della concorrenza può essere idoneamente provata attraverso qualsiasi congruo mezzo (CDS n. 8585/2019), quindi, può essere sufficiente la prova indiziaria, purché gli indizi siano gravi, precisi, concordanti, precisando che l’indiziarietà della prova non ne determina un’attenuazione in termini di forza probatoria.

Il Collegio, rifacendosi a propri precedenti giurisprudenziali, afferma che “l’accertamento di un’intesa anti-competitiva è il portato di un’analisi complessa ed articolata, che deve tenere conto di tutti gli elementi di prova acquisiti nella loro interezza e nella correlazione reciproca che lega gli uni agli altri” (CDS n. 8587/2019), considerando che nella maggior parte dei casi l’esistenza di una pratica o di un accordo anticoncorrenziale è inferita da un certo numero di coincidenze e di indizi, dato che le attività derivanti da pratiche ed accordi anticoncorrenziali si svolgano solitamente in modo clandestino.

È necessario dunque riscontrare un parallelismo dei comportamenti -effettivamente verificatosi nei casi in esame- che può essere considerato prova di concertazione, soltanto qualora la concertazione ne costituisca l’unica spiegazione possibile, il che è anch’esso emerso dall’esame dei fatti.

Basti pensare, ad esempio, che nel caso campano ove il bando relativo a una delle gare andate deserte era configurato in modo tale che se uno solo dei soggetti invitati avesse presentato offerta, gli altri operatori avrebbero perso la fornitura quinquennale dei servizi su tutto il territorio regionale. Il fatto che nessuno avesse partecipato, quando anche una sola offerta poteva portare all’aggiudicazione dell’intero servizio, non poteva razionalmente spiegarsi se non in presenza di un cartello.

 

Riflessioni finali

Se da un lato l’intervento dell’AGCM prima e del Consiglio di Stato dopo sono esempi positivi del buon funzionamento dell’attività di lotta e contrasto alle condotte illecite a danno della cosa pubblica e quindi dei cittadini; dall’altro, i casi esaminati fanno emergere quello che è uno dei problemi che più sta interessando le Aziende operanti nel settore, ossia l’insofferenza delle stesse all’abbassamento, e talvolta al vero e proprio abbattimento, dei prezzi delle forniture e dei servizi destinati al Servizio Sanitario.

Detta insofferenza, se certamente non deve portare ad intese e condotte illecite (si pensi ai casi di forniture “falsate”), potrebbe, tuttavia, condurre all’innalzamento dei prezzi offerti (obiettivo opposto a quelle delle stazioni appaltanti) e all’astensione dalla partecipazione alle gare da parte delle Società -a cui potrebbero seguire accertamenti da parte dell’Antitrust-, con serie ripercussioni sul Servizio sanitario.