Tamponi anti covid e la guerra fratricida tra farmacie e parafarmacie!

Prof. Mauro M. De Rosa e Dott.ssa Garaventa Anna

 

 

L’eterna diatriba tra farmacie e parafarmacie ha trovato un nuovo terreno di scontro nell’autorizzazione all’esecuzione dei c.d. tamponi rapidi per la rilevazione del Covid-19 e il giudice amministrativo è però costretto a sollevare questione di legittimità costituzionale.

 

Premessa

Le parafarmacie e i cosiddetti corner presenti all’interno delle supermercati della grande distribuzione organizzata (GDO) corrispondono a quegli esercizi commerciali aperti ai cittadini e legittimati alla dispensazione e alla vendita di medicinali dalla L. n. 248/2006. Le farmacie aperte al pubblico dal 2006 hanno dunque visto erodere i propri ricavi limitatamente ai medicinali OTC e SOP e infrangere ulteriormente l’esclusiva distributiva già messa in discussione dalla l. 405/01 che ha consentito alle farmacie ospedaliere (FO) di dispensare al pubblico tutti i medicinali per i pazienti in dimissione da ricovero o da ambulatorio specialistico.

L’elemento in comune di questi tre ambiti -le farmacie al pubblico, le FO e le parafarmacie- è la presenza di farmacisti abilitati alla professione.

Ciò che mantiene distinte le situazioni è che la dispensazione diretta per tutti i prodotti è legittimata per le farmacie ospedaliere e i servizi farmaceutici della ASL, la dispensazione al pubblico dei farmaci di classe a) è consentita alle farmacie aperte al pubblico previa convenzione con SSN, la dispensazione al pubblico delle parafarmacie dei farmaci di classe a) è vietata ma consentita solo per quelli di fascia c) limitatamente alle categorie SOP e OTC.

Tutti questi professionisti, inoltre, devono ottemperare alle disposizioni di farmacovigilanza e tracciatura dei prodotti dispensati.

Le Associazioni sindacali delle farmacie hanno più volte tentato di limitare la presenza e l’impatto delle parafarmacie sul territorio che aspirano a convenzionarsi con SSN e poter dispensare al pubblico anche i farmaci di fascia a) a carico del SSN.

Le limitazioni distributive non si limitano solo al farmaco ma anche a dispositivi e diagnostici.

 

L’antefatto: la Regione Marche apre alle parafarmacie

I farmacisti titolari di parafarmacie della Regione Marche, tramite le proprie associazioni di categoria hanno aderito all’accordo approvato con DGR n. 465/2021, avente ad oggetto “Schema di accordo tra la Regione Marche ed esercizi commerciali ex art. 5, D.L. n. 223/2006, convertito con modificazioni dalla L. n. 248/2006 (c.d. Parafarmacie) per effettuare test rapidi basati sulla ricerca dell’antigene e i test diagnostici rapidi per la ricerca di anticorpi anti SARS-CoV-2”.

La ragione di tale accordo è da ricondursi all’andamento della curva pandemica e della necessità di implementare ulteriormente le misure di prevenzione. Le finalità dell’accordo sono indicate nelle sue premesse, ossia: facilitare l’accesso dei cittadini alle prestazioni sanitarie, aumentare l’efficienza e la capillarità delle attività di prevenzione e mettere in atto un controllo più accurato dell’evoluzione della pandemia, aumentando “il numero dei tamponi antigenici rapidi per la rilevazione di antigene SARS-CoV-2”. La Regione Marche ha ritenuto dunque le parafarmacie strutture in grado di aumentare l’efficienza delle attività di prevenzione utili a contrastare la diffusione del virus.

 

La diffida delle farmacie e la marcia indietro della Regione

Sennonché, nelle more dell’attuazione e della implementazione dell’accordo, Federfarma Marche inviava formale diffida alla Giunta Regionale, chiedendo l’annullamento della D.G.R. n. 465/2021, di cui veniva assunta l’illegittimità.

Secondo Federfarma, il provvedimento regionale contrasterebbe innanzi tutto con dell’art. 1, comma 418, della L. n. 178/2020 (Legge di Bilancio), il quale riserva alle sole farmacie e non anche alle parafarmacie l’effettuazione dei test da tampone antigenico disponendo che: “possono essere eseguiti anche presso le farmacie aperte al pubblico dotate di spazi idonei sotto il profilo igienico-sanitario e atti a garantire la tutela della riservatezza”. Inoltre, Federfarma richiama un caso risalente al 2017, quando una legge della Regione Piemonte che abilitava gli esercizi commerciali (parafarmacie) ad eseguire “…prestazioni analitiche di prima istanza…” (nella cui definizione rientrerebbero i test de quibus) era stata dichiarata incostituzionale con sentenza C.Cost. n.66 del 21.03.2017.

A seguito della diffida di cui sopra, la Regione Marche con D.G.R. n.663/2021 ha annullato la precedente determina di adozione dell’accordo.

 

Il giudizio del TAR: non ci sono differenze prestazionali tra farmacie e parafarmacie

I titolari delle parafarmacie e le associazioni di categoria hanno prontamente impugnato davanti al TAR Marche il provvedimento di annullamento dell’accordo siglato, chiedendo altresì la condanna al risarcimento del danno subito, avendo già investito molte risorse per poter prontamente e secondo le disposizioni normative procedere con l’inizio dell’esecuzione dei test.

Il TAR svolge alcune premesse, in particolare parte dal dato fattuale che per legge (l. n.223/2006) in ciascuna parafarmacia deve essere presente almeno un farmacista abilitato. Secondariamente, riconosce come lo stesso D.P.C.M. dell’11.03.2020 avesse ritenuto la parafarmacia attività essenziale insieme alla farmacia, escludendola dalla temporanea chiusura che aveva coinvolto, invece, le altre attività.

Infine, riconosce il ruolo fondamentale attribuito dalla normativa statale degli screening di massa per il contenimento e la prevenzione della pandemia, dove riveste un ruolo fondamentale il tracciamento dei nuovi positivi.

 

Il TAR si trova quindi di fronte ad una serie di incongruenze: è innegabile, afferma, che un farmacista abilitato è idoneo ad eseguire tutte le prestazioni connesse all’arte farmaceutica a prescindere dal luogo in cui egli si trovi ad operare (farmacia, parafarmacia, laboratorio di una casa farmaceutica etc.) ed a prescindere dal formale inquadramento del suo rapporto di lavoro (farmacista titolare, farmacista direttore o farmacista collaboratore etc.).

Si potrebbe però obiettare che la struttura più “istituzionale” delle farmacie fornisca maggiori garanzie in relazione all’erogazione di quelle che sono qualificabili come vere e proprie prestazioni sanitarie. Questo argomento però, che di per sé potrebbe giustificare l’omessa inclusione delle parafarmacie nel novero delle strutture abilitate ad effettuare i tamponi oggetto del giudizio, presuppone però che vi sia una differenza oggettiva fra la prestazione erogata nella farmacia e quella erogata nella parafarmacia, altrimenti si sarebbe di fronte ad una ingiustificata compressione della libertà di iniziativa economica di un soggetto giuridico che il legislatore del D.L. n. 223/2006 ha voluto riconoscere ed affiancare a quello che tradizionalmente aveva il monopolio del mercato di riferimento.

Ma, osserva il giudice, nella specie tale differenza fra le prestazioni non c’è.

È sufficiente, infatti esaminare e porre a confronto l’accordo stipulato dalla Regione con i farmacisti e quello stipulato con i parafarmacisti per avvedersi del fatto che, in entrambi i casi, sono previste le medesime prescrizioni.

Ancora, non è comprovato che le farmacie garantirebbero una maggiore riservatezza, perché la L. n. 178/2020 tiene conto del fatto che esistono numerose farmacie, soprattutto rurali o “storiche”, che non dispongono di spazi adeguati, le quali sono pertanto autorizzate ad avvalersi anche di spazi esterni adiacenti o di strutture allestite ad hoc. Nemmeno sotto questo profilo, dunque, è apprezzabile una sostanziale differenza rispetto alle parafarmacie, le quali pure sono tenute ad attrezzarsi in modo che l’effettuazione dei test avvenga nel rispetto delle misure igienicosanitarie minime, nonché della riservatezza degli utenti.

 

I rilievi costituzionali

Se così è, ne discende che l’esclusione delle parafarmacie dal novero delle strutture abilitate ad effettuare i tamponi in argomento non trova alcuna plausibile giustificazione. Viene dunque in rilievo la violazione dell’art. 3 e dell’art. 41 Cost., in quanto le norme in commento, senza un giustificato motivo, limitano la libertà di iniziativa economica di determinati soggetti giuridici rispetto alla medesima attività che altri soggetti giuridici operanti nello stesso mercato di riferimento sono invece abilitati a svolgere (attività, peraltro, che richiede una identica qualificazione professionale).

Inoltre, il giudice amministrativo rileva un conflitto logico della limitazione con la ratio sottesa alla normativa emergenziale, ossia quella di incrementare il numero dei tamponi.

Tutte le considerazioni riportate, hanno spinto il TAR Marche con ordinanza n. 7/2022 a sollevare una questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3 (principio di uguaglianza) e 41 Cost. (libertà dell’iniziativa economia privata), dell’art. 1, commi 418 e 419, della L. 30 dicembre 2020, n. 178, nella parte in cui è riservata alle sole farmacie – e non anche alle parafarmacie – l’effettuazione dei test mirati a rilevare la presenza di anticorpi IgG e IgM e i tamponi antigenici rapidi per la rilevazione di antigene SARSCoV-2.

 

Riflessioni finali

L’unitarietà della triade vigente dal 1968 (leggi Mariotti) farmaco-farmacia-farmacista è dunque da rivedere: i nuovi soggetti commerciali che intervengono sul mercato trovano costante legittimazione e riconoscimento anche in relazione all’evoluzione del mercato e alla presenza di professionisti che ne garantiscono le prestazioni sotto il profilo sanitario e farmaceutico.

Vedremo come si pronuncerà la Consulta sulla questione tamponi e su quella connessa della differenziazione prestazionale tra farmacisti operanti in strutture private entrambe aperte al pubblico.