Privilegiata la libertà prescrittiva vs. la medicina basata sulle evidenze
Prof. M. Mauro De Rosa e Dott.ssa Anna Garaventa
Abstract
Il Consiglio di stato interviene nella ormai nota divergenza tra medici curanti e Direzione generale di AIFA in merito al divieto di impiego dell’idrossiclorochina per la terapia da infezione da Covid-19. Le questioni attengono al concetto di libertà prescrittiva e al suo rapporto con la medicina basata sulle evidenze in un quadro di incertezza e di contingenza pandemica.
Premessa
Nella lotta al Covid- 19 i medici potranno continuare a prescrivere off label l’idrossiclorochina.
Questo quanto statuito in via cautelare dal Consiglio di Stato con ordinanza 7097/2020, che ha disposto l’annullamento della nota AIFA di sospensione dell’autorizzazione a tale utilizzo off-label del medicinale.
A pochi giorni della già nota pronuncia, andiamo ad analizzare quali sono stati i punti chiave del ragionamento dei Giudici di Palazzo Spada, perché se l’esito è stato in primo piano, meno spazio hanno trovato le argomentazioni a fondamento dello stesso.
La vicenda
La vicenda giudiziaria ha visto nel ruolo di ricorrenti e poi appellanti numerosi medici di famiglia e specialisti coinvolti in prima linea nell’emergenza sanitaria in atto, i quali durante l’attuale pandemia hanno somministrato ai propri pazienti affetti da SARS-CoV-2 l’idrossiclorochina (o hydroxychloroquine, nel prosieguo anche solo “HCQ”), tramite prescrizione off-label, ossia al di fuori delle indicazioni registrate.
Tale medicinale -di basso costo, facilmente prescrivibile e reperibile sul mercato- nasce, infatti, come antimalarico e viene prescritto nel nostro Pese in particolare contro l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso.
L’intervento di AIFA
Tale diverso utilizzo trae origine dalla autorizzazione da parte di AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) alle sperimentazioni cliniche, tra cui per l’appunto figura quella per valutare l’efficacia dell’idrossiclorochina, rispetto allo standard di cura, per il trattamento domiciliare di pazienti che presentano un quadro clinico lieve di COVID-19 e che si trovano in isolamento domiciliare.
Tuttavia, dopo una posizione di apertura da parte di AIFA all’utilizzo off label appena descritto, l’Agenzia ha rivisto le proprie determinazioni iniziali sospendendo l’autorizzazione e negando la rimborsabilità a carico del SSN del medicinale. Alla base della decisione: l’incertezza dell’efficacia del farmaco nel contrasto al virus e un rischio di tossicità, in particolare cardiaca, rilevante ad elevati dosaggi, risultanti dagli studi clinici randomizzati e controllati (RCT: randomized controlled trial).
Il ricorso al TAR
I medici hanno quindi proposto ricorso nanti il TAR Lazio avverso la decisione adottata da AIFA, lamentando:
– un difetto di istruttoria, in quanto AIFA non ha considerato i numerosi altri studi clinici pubblicati su riviste internazionali accreditate, attestanti l’efficacia della HCQ nella lotta al virus;
– una lesione della loro autonomia decisionale, ossia nella libertà prescrittiva, tutelata dalla Costituzione e dalla legge.
Il TAR ha respinto l’istanza cautelare volta ad ottenere la sospensione del provvedimento impugnato in attesa della definizione del giudizio, affermando che non sussisteva in capo ai ricorrenti un grave pregiudizio e ritenendo di difficile accoglimento l’eccezione di difetto di istruttoria, attesi gli studi alla base delle determinazioni AIFA.
Nelle more del giudizio AIFA ha adottato una nuova nota data 22 luglio 2020, con la quale, a fronte di un profilo di efficacia assai incerto e di un rischio di tossicità rilevante, ha confermato la sospensione dell’utilizzo off-label dell’HCQ al di fuori degli studi clinici controllati, impugnata anch’essa dai medici ricorrenti.
Anche in questo caso è stata respinta l’istanza di adozione di misure cautelari (sospensione provvisoria del provvedimento), motivando il TAR che dopo il rigetto della precedente istanza cautelare, non emergevano nuovi elementi che consentissero di discostarsi dal precedente rigetto.
L’appello
Ma ecco che, in sede di appello cautelare, il Consiglio di Stato ribalta quanto statuito dal TAR Lazio e sospende l’efficacia del provvedimento AIFA, consentendo nuovamente la prescrizione del medicinale per il trattamento del Covid-19.
In ben 38 pagine di ordinanza, lunghezza insolita per un provvedimento cautelare, il Consiglio motiva la propria decisione, esaminando dettagliatamente le censure proposte dai ricorrenti, sintetizzabili nei seguenti punti:
– violazione del principio della libertà prescrittiva del medico curante,
– carenza motivazionale con riferimento alla mancata valutazione degli studi clinici prodotti
– assenza di farmaci appropriati per la terapia domiciliare.
La decisione del CDS
Preliminarmente, però, il Collegio risolve la questione di rito relativa alla natura dell’istanza, ossia se configuri un’autonoma e nuova istanza cautelare perché nei confronti di un provvedimento nuovo (quello datato 22 luglio) o un’istanza di revoca della precedente ordinanza di rigetto, optando per la prima soluzione, ma dissipando ogni possibile dubbio evidenziando come il TAR avesse comunque errato nel ritenere non sopraggiunti elementi nuovi. Infatti, in una situazione come quella attuale di grave emergenza epidemiologica, nella quale si susseguono studi, ricerche, analisi sull’infezione da Sars-CoV-2 e di giorno in giorno vengono aggiornati i dati sulle terapie, sulle sperimentazioni, sui contagi e, purtroppo, sui decessi, sarebbe ben difficile, secondo il CDS, negare, già sul piano logico prima ancora che cronologico, la sopravvenienza di elementi -ben documentati dai ricorrenti- e dunque di quei «mutamenti delle circostanze» che non solo possano, ma anzi debbano comportare una rivalutazione attualizzata e informata delle misure adottate dalle autorità competenti per fronteggiare la diffusione del virus.
Risolta la prima questione, per procedere all’esame della pronuncia è bene ricordare che il giudice amministrativo è giudice, innanzitutto, di legittimità dell’atto amministrativo, per cui il sindacato non investe il merito dell’azione amministrativa in sé, bensì il rispetto delle regole stabilite specificamente dalla norma attributiva del potere discrezionale e la conformità dell’azione pubblica ai principi che governano, in generale, l’esercizio del potere pubblico.
Tale premessa, per puntualizzare che il Consiglio di Stato non ha voluto sostituirsi ad AIFA nel suo ruolo di organo preposto alla farmacovigilanza e tutela della salute pubblica, ma ha indagato se l’agire della amministrazione fosse legittimo.
In particolare: “La c.d. riserva di scienza che compete ad AIFA non si sottrae al sindacato del giudice amministrativo, nemmeno in sede cautelare e meno che mai nell’attuale fase di emergenza epidemiologica, per l’indefettibile esigenza, connaturata all’esistenza stessa della giurisdizione amministrativa e consacrata dalla Costituzione, di tutelare le situazioni giuridiche soggettive, a cominciare da quelle che hanno un radicamento costituzionale come il fondamentale diritto alla salute, a fronte dell’esercizio del potere pubblico e, dunque, anche della discrezionalità c.d. tecnica da parte dell’autorità competente in materia sanitaria”.
Il Collegio rileva come il provvedimento di sospensione dell’autorizzazione all’utilizzo off label dell’idrossiclorochina per la cura del SARS-CoV-2 al di fuori degli studi clinici può considerarsi legittimo a due condizioni, cioé che tale utilizzo non risultasse efficace e sicuro per i pazienti non ospedalizzati con sintomi lievi.
In caso di inefficacia o pericolosità e, quindi, in presenza di un rapporto rischio-beneficio negativo risultante dalle conoscenze scientifiche disponibili, la sospensione dell’autorizzazione sarebbe stata legittima e, pertanto, insindacabile.
Al CDS preme ribadire che compete alla scienza medica, secondo un rigoroso approccio metodologico ai dati, verificabili e validabili o falsificabili, acclarare quali siano le condizioni di appropriatezza e di sicurezza della cura per la patologia del singolo paziente in base alle conoscenze scientifiche e alle evidenze sperimentali e ciò porta all’approccio dominante e consolidato della c.d. evidence based medicine (EBM). Infatti, “La medicina basata sulle prove, secondo la definizione dei suoi fondatori, è «l’integrazione delle migliori prove di efficacia clinica con la esperienza e l’abilità del medico ed i valori del paziente»”.
Tuttavia, il CDS riconosce che occorre misurarsi con l’emergenza epidemiologica in atto, che non ha consentito ancora di acquisire certezze consolidate e, per così dire, prove di efficacia cliniche incontrovertibili in ordine all’utile impiego dell’HCQ nella cura del Sars-CoV-2. Pertanto, i giudici devono verificare se vi sia stata una corretta applicazione delle leggi a disposizione tale da rendere logica e proporzionata la misura di sospensione.
In sostanza il quesito è: il divieto di somministrazione dell’HCQ risponde effettivamente all’esigenza di assicurare una terapia appropriata e sicura nella lotta intrapresa contro il Sars-CoV-2 a tutela dell’interesse alla salute pubblica?
Secondo i giudici, ad oggi non esistono evidenze sperimentali che dimostrino in modo incontrovertibile l’inefficacia dell’idrossiclorochina, in quanto dalle recenti pubblicazioni non emerge un quadro univoco, quadro che viste anche le condizioni di urgenza nelle quali sono stati eseguiti i trial clinici, non sempre è stato fondato su un approccio metodologico irreprensibile.
Inoltre, risulta che AIFA abbia preso in considerazione studi che hanno coinvolto pazienti in stadio avanzato della malattia e ospedalizzati, quindi un ambito diverso da quello per la quale si chiede la revoca della sospensione dell’autorizzazione.
Un altro ostacolo in cui ci si imbatte è la difficoltà di condurre studi randomizzati controllati su pazienti a domicilio nell’attuale fase di emergenza epidemiologica, che rende ulteriormente difficoltoso reperire dati certi.
Alla luce di ciò, il Consiglio ritiene che la perdurante situazione di incertezza circa l’efficacia terapeutica dell’HCQ, ammessa dalla stessa AIFA, non è ragione sufficiente sul piano giuridico a giustificare quello che viene definita un’irragionevole sospensione del suo utilizzo sul territorio nazionale da parte dei medici curanti in base ad una conclusione – la totale definitiva inefficacia del farmaco sotto ogni aspetto, anche immunomodulatorio – che, allo stato delle conoscenze e della ricerche tuttora parziali e provvisorie, sembra radicale e prematura già a livello scientifico.
Ecco quindi che i giudici si lasciano ad un’osservazione forte, richiamando alla situazione di emergenza straordinaria in essere, affermando che: “L’applicazione dei principi propri dell’evidence based medicine di fronte ad un quadro emergenziale che non consente di acquisire evidenze sperimentali certe e rapide di studi randomizzati e controllati su una popolazione di riferimento – quella dei pazienti in una fase iniziale della malattia ristretti in isolamento domiciliare – conduce al paradosso di negare una qualsiasi possibilità di sperimentare in concreto la cura proprio quando maggiore, e urgente, ne è la necessità per questa classe di pazienti, così da evitare la loro ospedalizzazione e, nei casi più gravi o in quadri di comorbilità, la morte”.
È fondamentale misurarsi, oltre che con il dato immediato della preziosa esperienza clinica degli scorsi mesi, con l’emergenza della situazione epidemiologica, senza condurre nel caso di specie ad un esito manifestamente irragionevole e sproporzionato, rispetto alla stessa finalità ultima di quel metodo (la cura più efficace del paziente), e cioè la negazione di ogni possibile cura, in assenza di altra valida alternativa terapeutica domiciliare, anche di una possibile terapia in grado di esercitare, se non una diretta – e tutta da confermare – azione antivirale, quantomeno un benefico o persino tenue meccanismo immunomodulatorio-antiinfiammatorio.
Occorre che la scelta ricada sul medico, alla sua autonomia decisionale e alla sua responsabilità con l’ovvio consenso informato del singolo paziente, e non ad una astratta affermazione di principio, in nome di un modello scientifico che viene definito “puro”, nel senso negativo del termine. Tale scelta terapeutica ovviamente non deve confondersi con un via libera ad un “incontrollabile intuizionismo sperimentale”.
In merito all’aspetto della sicurezza, la stessa AIFA riconosce che i dati degli studi clinici randomizzati più recenti non sembrano confermare il maggiore rischio di gravi tossicità, per cui anche i questo caso non paiono esserci elementi comprovanti la pericolosità della terapia.
Alla luce delle considerazioni sopra riportate, il CDS afferma che il rapporto tra benefici/rischi, sulla base delle conoscenze scientifiche attuali e fermo ogni ulteriore approfondimento istruttorio da parte del Tribunale nel corso del giudizio e, ovviamente, di AIFA in sede procedimentale, non è ragionevolmente tale da precludere l’utilizzo off label dell’idrossiclorochina e la prescrizione del medico curante, sotto sua precisa responsabilità, nella cura domiciliare dell’infezione da SARS-CoV-2.
Al medico deve essere consentito svolgere la propria professione, il proprio ruolo e questo è possibile se gli sono restituite, in assenza di valide inoppugnabili ragioni scientifiche che lo impediscano, tutta l’autonomia e la responsabilità che l’ordinamento gli riconosce nella prescrizione e nel controllo dell’utilizzo off label dell’idrossiclorochina, nella doverosa umanizzazione della cura per la persona, la cui dignità costituisce valore supremo dell’ordinamento, al fine di trattare, se lo ritenga utile e appropriato in scienza e coscienza, l’infezione da SARS-CoV-2 nel suo esordio.
Conclusioni e riflessioni finali
Il CDS accoglie quindi l’appello cautelare, mentre sarà compito del Tar il sollecito esame della questione nel merito, esame che il Consiglio auspica si svolga il più celermente possibile.
Il Presidente Frattini e il Collegio nel suo complesso intervengono pesantemente in un dibattito all’interno del quale si confrontano due posizioni ormai distinte rispetto alle questioni che attengono la libertà di cura, e che hanno visto contrapposti tra loro anche schieramenti politici presenti nei moti di piazza ai tempi della terapia di Bella o nelle aule parlamentari. L’Italia ha visto molti precedenti di utilizzi off-label di farmaci senza validi presupposti o chiare dimostrazioni scientifici a supporto (es. TDB) e tal volta di veri e propri intrugli (es. siero Bonifacio) o di prodotti senza autorizzazione (es. Stamina).
Questi precedenti, fortunatamente non paragonabili a quanto oggi presentato (cfr. studi pubblicati) per l’impiego della idrossiclorochina, danno conto da una parte dell’esigenza di cura di fronte a malattie degenerative o rare che ancora aspettano medicinali risolutivi, dall’altra dell’opportunità di impiego di prodotti di cui non è noto il rapporto beneficio/rischio nella cura di affezioni virali come nell’attuale pandemia.
La posizione assunta dal CDS, sicuramente decisa, potrebbe risultare condizionata eccessivamente dall’urgenza della situazione attuale e in contrapposizione al principio dell’evidenza scientifica, dal quale discenderebbe un invito alla cautela e all’operare all’interno di studi clinici. Tuttavia, a smorzare tale assetto intervengono innanzitutto i numerosi inviti rivolti ai medici ad agire secondo scienza e coscienza al fine anche di permettere di reperire eventuali maggiori dati circa tale prescrizione, secondariamente il fatto che ci si trova ancora in una fase cautelare del giudizio, infatti lo stesso Consiglio invita il TAR ad approfondire nel merito, tramite più ampia istruttoria, la questione dibattuta.