Equivalenza terapeutica e codice dei contratti

Dott. Marco Boni

 

 

Agli operatori economici del farmaco è preclusa la possibilità di ottenere il riconoscimento di “equivalenze terapeutiche”  a fini concorrenziali

L’acquisto dei medicinali da parte del SSN nel canale c.d. “ospedaliero” e assimilati (Distribuzione Diretta e Per Conto)  in regime di  contrattualistica pubblica ( Legge  n.386/74, Delibera CIPE  n.3/2001, Legge n. 135/2012)  pone problemi di raccordo tra la normativa appalti di cui al D.Lgs n. 50/2016 e s.m. (”Codice dei contratti”), di portata generale,  e la regolazione specifica che disciplina produzione, acquisizione  e dispensazione  del farmaco.

Un caso è rappresentato dalla tematica dell’ “equivalenza terapeutica”  tra molecole diverse, di cui all’art. 15, comma 11 ter  della legge n. 135/2012

AIFA definisce l’equivalenza terapeutica come: “un metodo attraverso cui è possibile confrontare medicinali contenenti principi attivi diversi al fine di identificare, per le stesse indicazioni, aree di sovrapponibilità terapeutica nelle quali non siano rinvenibili, alla luce delle conoscenze scientifiche, differenze cliniche rilevanti in termini di efficacia e sicurezza”.

L’Agenzia ha adottato linee guida sulla sua applicazione (Determina 23 maggio 2018).  In quella sede ha chiarito che “possono essere ammessi alla valutazione di equivalenza terapeutica farmaci in possesso dei seguenti requisiti:

  1. essere dei principi attivi per i quali vi sia esperienza d’uso, intesa come periodo di rimborsabilità a carico del Servizio sanitario nazionale di almeno 12 mesi;
  2. presentare prove di efficacia che derivano da studi che non consentono la dimostrazione di superiorità di un farmaco rispetto all’altro (ad esempio studi vs placebo), oppure che derivano da studi testa a testa che non prevedono un’ipotesi di superiorità (ad esempio confronti attraverso studi di equivalenza o non inferiorità);
  3. appartenere alla stessa classificazione ATC di 4° livello;
  4. possedere indicazioni terapeutiche principali sovrapponibili (anche per quanto riguarda le sottopopolazioni target), come da sezione 4.1 dell’RCP;
  5. utilizzare la medesima via di somministrazione;
  6. prevedere uno schema posologico che consenta di effettuare un intervento terapeutico di intensità e durata sostanzialmente sovrapponibili.”

 

Le “specifiche tecniche” e l’”equivalenza funzionale” nella normativa appalti

Relativamente alla normativa appalti,   il “Considerando”  74  della Direttiva 2014/24/UE prevede quanto segue:

Le specifiche tecniche fissate dai committenti pubblici devono permettere l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza (…). A tal fine dovrebbe essere possibile presentare offerte che riflettono la varietà delle soluzioni tecniche, delle norme e delle specifiche tecniche prevalenti sul mercato (…) Di conseguenza, le specifiche tecniche dovrebbero essere redatte in modo da evitare di restringere artificialmente la concorrenza mediante requisiti che favoriscono uno specifico operatore economico (…). Se le specifiche tecniche vengono fissate in termini di requisiti funzionali e in materia di prestazioni, dovrebbe essere possibile, in genere, raggiungere tale obiettivo nel miglior modo possibile.(…)

L’art. 68, d.lgs. n. 50 del 2016 (diretta trasposizione dell’art. 42 della già richiamata Direttiva europea 2014/24/UE) prevede, tra l’altro, quanto segue “Le specifiche tecniche consentono pari accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione e non devono comportare direttamente o indirettamente ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza.

Fatte salve le regole tecniche nazionali obbligatorie, purché compatibili con la normativa dell’Unione europea, le specifiche tecniche sono formulate secondo una delle modalità seguenti:  a) in termini di prestazioni o di requisiti funzionali, (….)  Se fanno riferimento a produzioni specifiche, devono essere accompagnate dall’espressione  “o equivalente”

Quando si avvalgono della possibilità di fare riferimento alle specifiche tecniche (….), le amministrazioni aggiudicatrici non possono dichiarare inammissibile o escludere un’offerta per il motivo che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle specifiche tecniche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta l’offerente dimostra, con qualsiasi mezzo appropriato, (…..) che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche.

La giurisprudenza è ormai pacifica (ad es.  Cons. di Stato  n. 6212/2019, n. 3808/2020) nell’affermare che:

– “il principio di equivalenza” permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica e la possibilità di ammettere a seguito di valutazione della stazione appaltante prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste risponde al principio del favor partecipationis (ampliamento della platea dei concorrenti) e costituisce altresì espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione” (cfr. Cons. Stato, III, n. 4364/2013; n. 4541/2013; n. 5259/2017; n. 6561/2018)”;
– “trova applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara o da parte dei concorrenti, in tutte le fasi della procedura di evidenza pubblica e “l’effetto di “escludere” un’offerta, che la norma consente di neutralizzare facendo valere l’equivalenza funzionale del prodotto offerto a quello richiesto, è testualmente riferibile sia all’offerta nel suo complesso sia al punteggio ad essa spettante per taluni aspetti … e la ratio della valutazione di equivalenza è la medesima quali che siano gli effetti che conseguono alla difformità (cfr. Cons. Stato, III, n. 6721/2018)”;

– “l’art. 68, comma 7, del d.lgs. 50/2016 non onera i concorrenti di un’apposita formale dichiarazione circa l’equivalenza funzionale del prodotto offerto, potendo la relativa prova essere fornita con qualsiasi mezzo appropriato; la commissione di gara può effettuare la valutazione di equivalenza anche in forma implicita, ove dalla documentazione tecnica sia desumibile la rispondenza del prodotto al requisito previsto dalla lex specialis (cfr. Cons. Stato, III, n. 2013/2018n. 747/2018).”

E’ stato  altresì precisato (sentenza n. 13499 25.11.2019), quanto al principio di cui all’art. 68 d.lgs. 50/2016, che:
“tale criterio risponde al più generale principio del favor partecipationis (id est: ampliamento della platea dei concorrenti), costituendo dunque espressione della massima concorrenzialità nel settore dei pubblici contratti. Ogni deroga a tale finalità di carattere generale deve di conseguenza essere suscettiva di stretta interpretazione: di qui l’esigenza di limitare entro rigorosi limiti applicativi l’area dei requisiti tecnici minimi e di dare spazio – parallelamente ma anche ragionevolmente e proporzionalmente – ai prodotti sostanzialmente analoghi a quelli espressamente richiesti dalla disciplina di gara” …”

Per contro, specularmente, è doverosa l’esclusione di concorrente qualora la sua offerta non sia conforme alle specifiche tecniche indicate negli atti di gara e nella stessa non venga dimostrata l’equivalenza fra quanto proposto e quanto specificatamente richiesto dalla stazione appaltante. Anche secondo la giurisprudenza l’operatore che intenda offrire una fornitura caratterizzata da specifiche tecniche differenti rispetto a quanto previsto dalla lex specialis di gara avvalendosi della clausola di equivalenza è gravato dell’onere di dimostrare l’equivalenza fra i prodotti, segnalando nella propria offerta la corrispondenza della propria proposta a quanto offerto dalla P.A., non potendo pretendere che di una tale verifica sia onerata la Commissione di gara (Cons. Stato, sez. III, n. 6560/2019; id. 5 settembre 2017, n. 4207; id. 13 maggio 2011, n. 2905Tar Napoli, gennaio 2020, n. 413).
​​​​​​​In altre parole l’equivalenza tra i servizi o tra i prodotti oggetto dell’appalto – che trova applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara – deve essere provata in sede di gara dall’operatore che intende avvalersi dell’equivalenza, non potendo essa essere verificata d’ufficio dalla stazione appaltante né tantomeno dimostrata in via postuma in sede giudiziale.  È quindi onere dell’operatore che intenda offrire una fornitura caratterizzata da specifiche tecniche differenti rispetto a quanto previsto dalla lex specialis di gara dimostrare l’equivalenza fra i prodotti. (TAR Bologna, 28.01.2021 n. 72)

 

Equivalenza funzionale tra farmaci

Farmaci con principi attivi (specifiche tecniche) differenti aventi gli stessi effetti in termini di cura (prestazioni funzionali) afferiscono alla tematica dell’”equivalenza terapeutica”, come regolata dalla già richiamata legge n. 135/2012, che, sul punto, dispone quanto segue:

“Nell’adottare eventuali decisioni basate sull’equivalenza terapeutica fra medicinali contenenti differenti principi attivi, le Regioni si attengono alle motivate e documentate valutazioni espresse dall’Agenzia italiana del farmaco (art. 15 c. 11 ter Legge n.135/2012)

La legge assegna quindi in via esclusiva all’AIFA il compito di definire le equivalenze terapeutiche tra farmaci che hanno a base molecole diverse  e riserva alle Regioni in via esclusiva la facoltà di promuovere  decisioni di equivalenza.

 

Sulla necessità della valutazione di equivalenza da parte dell’AIFA

L’art. 68 del D.Lgs. n. 50/2016 è pertinente alla fattispecie dell’equivalenza terapeutica (si veda ad es. Delib. ANAC n.754/2018).

La magistratura amministrativa ha già avuto modo di affrontare la tematica dell’equivalenza terapeutica, considerando legittimo l’inserimento di brand differenti a base chimica in unico lotto competitivo, senza ricorso alla valutazione di AIFA, quando siano ricompresi nel V livello della classificazione ATC (stesso principio attivo)  (Cons. di Stato  n. 4863/2019, 578/2020).

In presenza di molecole diverse, il parere dell’AIFA e imprescindibile (Cons. di Stato n. 4459/2019 e 4881/2019)

Com’è noto, l’ordinamento comunitario prevale su quello nazionale, ove configgente, tanto che il giudice nazionale è tenuto a disapplicare norme nazionali in contrasto con quelle europee.

Il Codice dei contratti, nel riprodurre la norma comunitaria, detta disposizioni necessariamente di ordine generale sugli appalti pubblici.  Si possono ritenere coerenti norme nazionali che, nel rispetto dei principi comunitari, dettino regole speciali per ambiti specifici. La competenza esclusiva dell’AIFA sulla materia dell’equivalenza terapeutica trova giustificazione nella competenza assegnata istituzionalmente all’Agenzia sugli aspetti regolatori (e relative implicazioni tecniche) che attengono la produzione, commercializzazione e impiego dei farmaci, in funzione della tutela della salute pubblica.

 

Sulla riserva alle Regioni di promuovere decisioni di equivalenza terapeutica

In tale quadro regolatorio,  gli aspetti di dubbia coerenza con la normativa appalti riguardano:

  1. La norma che vieta, limitatamente ai farmaci biosimilari, la concorrenza nelle procedure pubbliche di acquisto tra principi attivi differenti, anche se aventi le stesse indicazioni terapeutiche (art. 15 c. 11 quater legge n. 135/2012);
  2. la riserva alle Regioni della facoltà di promuovere decisioni di equivalenza da parte dell’AIFA medesima. In tal modo è infatti preclusa agli operatori economici la facoltà di azionare l’equivalenza “funzionale” secondo quanto previsto dall’art. 68 del D.Lgs. n. 50/2016, facoltà di stretta derivazione comunitaria, quindi prevalente sull’ordinamento nazionale.

Tale preclusione non pare retta da motivazioni di ordine regolatorio che ne giustifichino l’esistenza. Più semplicemente è probabilmente da ricondurre al fatto che il legislatore della regolazione farmaceutica non conosce della normativa appalti e, quando vi fa riferimento,  lo fa in maniera a-tecnica, come nel caso della legge n. 135/2012 là dove richiama genericamente la procedura dell’”accordo quadro”, senza riferimenti normativi  al D.Lgs. n. 50/2016 e alla  tipologia specifica di accordo quadro da adottare.

Potrebbero quindi essere riconosciute non infondate, in occasione di bandi gara ritenuti penalizzanti,  doglianze prospettate nelle sedi competenti da operatori economici del farmaco che si ritenessero illegittimamente danneggiati dall’attuale quadro regolatorio sull’equivalenza terapeutica, in quanto limitativo dell’accesso agli appalti pubblici.