Decadenza dal marchio per mancato uso: la particolare circostanza delle sperimentazioni cliniche

Dott.ssa Anna Garaventa

 

La Corte di Giustizia, con sentenza del 3 luglio 2019 nella causa C-668/17 Viridis Pharmaceutical Ltd. contro Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), affronta il tema della decadenza del marchio, facendo luce sulle possibili cause di esenzione e relativi limiti.

 

La Corte di Giustizia è chiamata a pronunciarsi in materia di decadenza del marchio registrato per «prodotti farmaceutici e prodotti per la salute» per mancato uso effettivo.

La controversia ha visto l’Azienda Viridis Pharmaceutical (nel prosieguo “Viridis”) contrapporsi all’EUIPO (Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale), a seguito della decisione di quest’ultimo, dietro istanza dell’azienda Hecht-Pharma, di dichiarare la Viridis decaduta dai suoi prodotti registrati sotto il marchio «Boswelan».

La Viridis, già soccombente in primo grado, ha presentato appello nanti la Corte di Giustizia, la quale ha fornito una chiara interpretazione delle disposizioni in materia di tutela del marchio, in particolare del Regolamento UE 207/2009, ratione temporis applicabile alla controversia (la domanda di decadenza di cui trattasi ha come data di presentazione il 18 novembre 2013), oggi sostituito dal Regolamento UE 1001/2017.

L’Appellante ha lamentato che il Tribunale avrebbe erroneamente sancito il principio secondo il quale l’uso idoneo al mantenimento dei diritti per un medicinale può aversi esclusivamente qualora sia concessa un’AIC (autorizzazione all’immissione in commercio), pertanto, senza un’AIC non potrebbe esservi l’uso richiesto dalla norma, rimanendo prive di tutela le situazioni antecedenti al suddetto rilascio, quale ad esempio le sperimentazioni cliniche.

La normativa di riferimento è rappresentata dall’art. 15 del Regolamento 207/2009, il quale al primo paragrafo così dispone:

Se entro cinque anni dalla registrazione il marchio comunitario [dell’Unione europea] non ha formato oggetto da parte del titolare di un uso effettivo nella Comunità [nell’Unione europea] per i prodotti e servizi per i quali è stato registrato, o se tale uso è stato sospeso per un periodo ininterrotto di cinque anni, il marchio comunitario [dell’Unione europea] è sottoposto alle sanzioni previste nel presente regolamento, salvo motivo legittimo per il mancato uso”.

e dall’art. 51, ai sensi del quale:

“Il titolare del marchio comunitario è dichiarato decaduto dai suoi diritti su domanda presentata all’Ufficio [EUIPO] o su domanda riconvenzionale in un’azione di contraffazione:

a) se il marchio, per un periodo ininterrotto di cinque anni, non ha formato oggetto di un uso effettivo nell’[Unione] per i prodotti o i servizi per i quali è stato registrato, e non vi sono ragioni legittime per la mancata utilizzazione; tuttavia, nessuno può far valere che il titolare è decaduto dai suoi diritti se, tra la scadenza di detto periodo e la presentazione della domanda o della domanda riconvenzionale, è iniziata o ripresa l’utilizzazione effettiva del marchio; peraltro, l’inizio o la ripresa dell’utilizzazione del marchio, qualora si collochi nei tre mesi precedenti la presentazione della domanda o della domanda riconvenzionale, a condizione che il periodo di tre mesi cominci non prima dello scadere del periodo ininterrotto di cinque anni di mancata utilizzazione, non vengono presi in considerazione qualora si effettuino preparativi per l’inizio o la ripresa dell’utilizzazione del marchio solo dopo che il titolare abbia appreso che la domanda o la domanda riconvenzionale potrà essere presentata“.

Richiamata la normativa applicabile, il Collegio osserva che un marchio forma oggetto di un uso effettivo ex art. 51 quando assolve la sua funzione essenziale, che “è garantire l’identità di origine dei prodotti o dei servizi per i quali è stato registrato, al fine di trovare o mantenere uno sbocco per tali prodotti e tali servizi, ad esclusione degli usi simbolici …”

Col rischio di incorrere nella tautologia, perché tale funzione essenziale sia svolta, si presuppone un’utilizzazione del marchio sul mercato e non solo in seno all’impresa interessata (in questi termini sentenza dell’11 marzo 2003, Ansul, C-40/01, EU:C:2003:145).

Alla luce di tali assunti, l’apposizione di un marchio su un prodotto non soggetto a distribuzione non può costituire un’ipotesi di utilizzazione, non contribuendo a creare uno sbocco sul mercato per i prodotti o a distinguerli da altri nell’interesse del consumatore.

Quanto sopra non significa che non vi possa essere un uso effettivo prima della commercializzazione del prodotto, tuttavia la commercializzazione deve essere imminente.

Secondo la Corte le determinazioni dell’EUIPO e degli organi giudicanti eventualmente aditi, non possono essere il frutto di una sterile applicazione della normativa, dovendosi al contrario considerare tutti i fatti e le circostanze idonee a provare l’effettività dello sfruttamento sul piano commerciale.

Orbene, nel caso di specie la Viridis ha omesso di dare prova dell’imminente affaccio sul mercato, non producendo alcun elemento di prova dal quale emergesse che la sperimentazione stesse per concludersi, a fronte di una richiesta di registrazione del marchio datata già 2003, mentre il Tribunale ha compiuto una valutazione concreta dell’insieme dei fatti e delle circostanze del caso di specie e, nell’ambito di tale valutazione, “si è limitato a trarre le conseguenze dalla sua constatazione secondo la quale, conformemente alla normativa applicabile, un medicinale la cui immissione in commercio non è stata ancora autorizzata non può essere nemmeno oggetto di una pubblicità diretta a ottenere o mantenere una quota di mercato”.

A nulla valgono le contestazioni dell’appellante che vedrebbero nel termine di cinque anni previsto dal Regolamento un termine troppo breve per il settore farmaceutico, applicandosi tale termine, invero, indistintamente a ciascun settore economico.

Un’interpretazione elastica del concetto di “uso effettivo” non è percorribile, non essendo lasciato alcuno spazio in tal senso dal tenore letterale dell’art. 15 sopra richiamato, il quale non impone una stretta conformità tra la forma utilizzata in commercio e quella in cui il marchio è stato registrato (“consentendosi al titolare di apportare al segno, in occasione del suo sfruttamento commerciale, le variazioni che permettono di adattarlo meglio alle esigenze di commercializzazione e di promozione dei prodotti”), ma ciò non ha alcuna ripercussione sulla valutazione del carattere effettivo di tale uso, la quale deve essere svolta conformemente ai criteri stabiliti dalla giurisprudenza.

La Corte nega, altresì, che la sperimentazione clinica possa rappresentare di per sé un motivo legittimo per il mancato uso del marchio contestato opponibile alla decadenza.

Anche in questo caso occorre effettuare un’analisi caso per caso, tenendo in considerazione che secondo consolidata giurisprudenza:

solo ostacoli aventi un legame sufficientemente diretto con il marchio da rendere l’uso impossibile o irragionevole e che siano indipendenti dalla volontà del titolare di detto marchio possono essere qualificati come «motivi legittimi» per il suo mancato uso”.

Orbene, il Collegio ritiene che il Tribunale conformemente a tali direttive ha dichiarato che gli atti e gli eventi citati alla Viridis si collocavano entro la sua sfera di influenza e rientravano nell’ambito della sua responsabilità, di modo che essi non potevano essere considerati come ostacoli indipendenti dalla sua volontà, in particolare alla luce della richiesta di registrazione del 2003, che non corrisponde ad alcun obbligo di legge, sebbene vi fosse una forte incertezza sia sulla data che sulla possibilità di commercializzazione del prodotto. Inoltre, le asserite difficoltà durante la sperimentazione clinica di cui trattasi, la cui data di conclusione restava peraltro incerta, facevano riferimento a un investimento insufficiente concesso dalla Viridis alla luce delle specificità del settore di riferimento.

Tali circostanze rientrano pienamente nella sfera di responsabilità del titolare, non potendo quindi classificarsi quali ostacoli indipendenti dalla volontà di quest’ultimo.

Alla luce delle argomentazioni sopra riportate la Corte di Giustizia con sentenza del 3 luglio 2019 nella causa C-668/17 (ECLI:EU:C:2019:557) respinge l’appello e conferma la sentenza emessa in primo grado dal Tribunale.

La pronuncia sopra esaminata va ad aggiungersi alla copiosa giurisprudenza in materia, inserendo un ulteriore tassello alla disciplina di un settore, quello della tutela del marchio, che più di altri deve il proprio sviluppo al contributo della giurisprudenza.